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Dr. Massimiliano Brambilla

Mi racconto

Sono Massimiliano Brambilla. Sono nato a Milano, ho trascorso la mia infanzia e adolescenza da bambino felice nella mia città.

Educazione religiosa alle elementari (Suore orsoline) e laica alle medie (Istituto San Celso). Ho fatto il liceo classico pubblico al Tito Livio dove ho trascorso 5 anni di grande piacere e stimolo intellettivo.
Sono stato un bambino e ragazzino  molto impegnato: inglese e tedesco di studio,  agonista di canottaggio, all’estero fin dai 6 anni, suonatore di chitarra… insomma i miei non mi hanno fatto mancare nulla…

Mi è sempre piaciute l’arte e la storia. Forse se non avessi fatto il medico sarei stato un appassionato archeologo, ma…

La medicina mi ha sempre affascinato soprattutto nei suoi aspetti anatomici.  Da bambino guardavo mia nonna pulire il pollo dalle sue interiora e ne ero affascinato.

Scoprire il corpo umano ed i suoi misteri era uno dei miei svaghi già quando ero adolescente. Mi incuriosiva  come siamo fatti, mi incuriosivano  soprattutto i fini meccanismi del movimento. Ero poi affascinato da tutto quello che deviava dal concetto di anatomia umana normale. Amavo andare al circo. Guardavo a bocca  aperta i nani e la donna cannone. Ero incantato dalle immagini delle sirene, per metà donne  e per metà pesci, dalle illustrazioni degli esseri mitologici che dall’umana natura si discostavano ora per un piede equino ora perché avevano un solo occhio. E mi chiedevo perché, come fosse  possibile, se fosse stato vero o  fosse stata solo favola. All’asilo avevo poi  una splendida compagna di giochi che aveva il labbro leporino. Ricordo come ieri il labbro aperto e il miracolo del labbro riparato. Mi  faceva una gran simpatia, la trovavo strana e unica e la magia della riparazione del suo labbro me la porto ancora dentro,

Terminato il liceo, accantonate le velleità di diventare un  egittologo,mi  è stasto  naturale iscrivermi alla facoltà di Medicina.

Entrai quindi all’Università di Milano. Del primo anno ricordo l’incontro con due grandi figure di ampia cultura ed umanità infinita, due grandi storici della medicina, il prof  Bruno Zanobio e la prof Giuseppina Bock Berti, che mi fecero scoprire l’umanesimo della medicina e quanto questa fosse agganciata alla filosofia. Mi dissero che se la facoltà di medicina si era staccata solo nel 1920 dalle facoltà filosofiche e fino a quella data non faceva pare delle facoltà scientifiche c’era pure una ragione… ed avevano ragione. La medicina non è solo tecnicismo, c’è molto, molto di più. Medicina non è solo dare una compressa o salvare il paziente con il migliore dei gesti chirurgici; è molto di più: è saper ascoltare e capire i mali che si vedono e quelli che non si vedono, è vedere i mali del fisico ed intravedere i mali dell’anima, è dare ascolto e trovare la parola giusta per dire che c’è speranza o che non ce n’è.
Terminato il primo anno sentivo la necessità di vivere l’ospedale da vicino. L’opportunità venne da un congresso celebrativo che si svolgeva alla clinica Mangiagalli ed in cui fui coinvolto dagli storici medici. Nell’occasione ebbi a conoscere un altro personaggio chiave della mia vita, Laura Sanchioni, una appassionata anatomopatologa, tra le massime esperte di malformazioni congenite, grande ed eclettica personalità che mi appassionò alla materia facendomi scoprire le aberrazioni che la natura può creare. Frequentavo con passione il reparto ed un giorno, mentre stavamo facendo un’autopsia di un neonato malforme che aveva anche un labbro leporino, Laura mi disse di bussare alla porta del reparto di chirurgia plastica dove i labbri leporini venivano curati per vedere come la natura potesse essere riparata.

Il gioco era fatto.

Era il secondo anno di università ed entravo a frequentare, emozionato,  il reparto di chirurgia plastica. Il reparto, quello  stesso reparto dove ho lavorato poi da specialista per 25 anni, aveva grande storia e fama. Era stato fondato negli anni 30 da Gustavo Sanvenero Rosselli, padre della chirurgia plastica italiana. Chi ci lavorava si portava dietro quel fardello di eredità. Feci in tempo a conoscere Franco Mussinelli che aveva condotto il reparto per vent’anni. Me lo ricordo come un uomo alto, serio, severo. Ma non ebbi la possiblità di conoscerlo perché morì da li a poco. Subentrò Armando Carù che della cura del labbro leporino e della malformazione congenita aveva fatto una ragione di vita. Con lui lavoravano altri chirurghi a cui devo molto per la mia crescita, tra loro Tito Cipollini  appassionato di ipospadie e Franco Campagna  che avrà poi il merito di far crescere la chirurgia  plastica della mammella. Le specialità del reparto erano le malformazioni congenite. Il reparto era veramente grande: sezione bambini, donne e uomini per un totale di 40 posti letto.
Le mie giornate errano densissime: frequentavo al mattino il reparto di chirurgia, al pomeriggio andavo in anatomia patologica per le attività dissettorie e… alla sera frequentavo l’università nei corsi per studenti lavoratori…

Per fortuna da sempre dormo 5-6 ore per notte e le giornate lunghe non mi pesano.

Trovavo tutto interessante, mi cibavo di tutto quello che vedevo ed ero sempre emozionato.
Devo dire che l’emozione per il mio lavoro non mi ha mai lasciato un attimo. Continuo a ringraziare il cielo tutte le mattine perché faccio un lavoro che amo e mi appassiona. Non puoi pensare che la medicina sia un semplice lavoro. È infinitamente di più: è coinvolgimento totale.

Davo gli esami ed andavano bene. Avevo trovato un metodo di studio. Non sono mai stato uno mnemonico puro, quindi applicavo quello che studiavo alla pratica e così mi divertivo a studiare e divertivo anche i miei docenti perché agli esami, per dare il meglio, mi immaginavo di avere davanti un malato con quella malattia e di parlare al docente di quel malato con quella malattia e non solo della malattia
Laura Sanchioni mi introdusse a quell’epoca alla PNL, la programmazione Neurolinguistica, branca della psicologia applicata che all’epoca cominciava a muovere i primi passi in italia e che aveva come magister un’altra figura a cui devo molto: Gianni Fortunato. Questo incontro fu un catalizzatore. Imparare la lettura veloce a 22 anni non ha lo stesso impatto di quando la impari a 40, imparare a leggere nelle parole, fu un gran dono per il quale ringrazierò per tutta la vita.
Passavano veloci gli anni e cominciai a preparare la tesi di laurea.  Il tema era “le malformazioni congenite dei genitali esterni”. Feci una tesi di ricerca. La compilazione durò 3 anni. Il lavoro fu entusiasmante, non ostante i mille impegni mi laureai nel 1992 a 25 anni.
E come disse allora il mio amico Tito Cipollini “ è solo ora che si comincia a ballare”… ed aveva ragione.

Riuscii ad accedere alla scuola di specialità in chirurgia plastica nello stesso anno. Feci diversi concorsi e fui primo a Pavia, dove di specializzandi,  il prof Giorgio Boggio Robutti, ne prendeva uno solo all’anno… Boggio Robutti, il professore, fu per me una figura importante. Era stato l’ultimo degli allievi diretti del grande  Gustavo Sanvenero Rosselli ed era stato il primo a dare dignità alla chirurgia estetica in seno alla chirurgia plastica.
Lavoravano insieme al professore, altre due figure:Angela Faga, che poi ebbe ad ereditarne il reparto ed Elio Caccialanza “il Caccia” a cui devo molto della mia formazione chirurgica.
Ringrazierò sempre Boggio Robutti di avermi dato la grande possibilità di girare per il mondo andando a frequentare quei reparti che, su suggerimento suo e di altri, potevano essere i migliori per la mia crescita professionale. Trascorsi allora lunghi periodi negli stati uniti: San Diego (UCSD), Los Angeles (UCLA), Texas (Dallas University), inframmezzando le frequentazioni con partecipazione a congressi un po’ ovunque. A Berlino conobbi poi un altro pilastro della mia professione Richard Sadove. Era l’allievo prediletto di Charles Horton, il padre della moderna chirurgia dei genitali esterni. Era a Lexington (Kentuky) e quando si spostò a Tel Aviv (Israele) mi chiese se  lo avessi voluto seguire . Lo feci e trascorsi un anno  incredibile per formazione e cultura generale. Tornavo periodicamente in Italia per sostenere gli esami e frequentare il reparto che si avvaleva  anche  di consulenti esterni per trattare patologie particolari. Fu in una di queste occasioni che conobbi il prof. Riccardo Mazzola, nipote ed erede della tradizione dello zio Gustavo Sanvenero Rosseli. Nessuno degli specializzandi voleva assisterlo nei complessi interventi di chirurgia ricostruttiva della testa e del collo.. Era severo, pungente, preciso e per tutto l’intervento fioccavano domande di fine anatomia. Le pessime figure che faceva fare erano famose. E un giorno toccò a me assisterlo. La prima volta fu difficile, molto difficile. Era una ricostruzione di collo con un lembo pettorale. Mi incalzò per 3 ore su vasi, nervi e inserzioni. Mi ero preparato all’assalto….ma non mi aspettavo un assalto all’arma bianca….. Risultato: prof Mazzola batteva il dr Brambilla 5 a 1….. La settimana successiva andò meglio, molto meglio. Una ricostruzione di zigomo con lembo temporale, area anatomicamente molto complessa. Era una sfida che non volevo perdere, 3 giorni di studio portarono a un pareggio. prof Mazzola -dr Brambilla 5 a 5………..Al prof Mazzola, uno dei più illustri chirurghi plastici italiani e tra i più considerati all’estero, sono tuttora legatissimo. Ci vediamo frequentemente, talvolta operiamo ancora insieme.  Mi ha insegnato a valorizzare le conoscenze anatomiche ed estendere  la mia curiosità ad  altre specialità  applicando i principi della chirurgia plastica anche là dove nessuno ci ha ancora pensato.

Tornai poi a Pavia, la tesi di specializzazione incombeva. 5 anni erano trascorsi in un batter d’occhio. Incredibile, mi sembra ieri ed è passato tanto tempo.

Specializzatomi a 29 anni nel 1997 con una tesi sui difetti delle protesi mammarie che mi valse l’odio delle ditte produttrici, dovetti scegliere che fare e dove andare: andare all’estero o stare in Italia?? 

Avevo ottime proposte dagli States e 3 interessanti proposte per rimane rimanere in Italia. Ma quando mi annunciarono che c’era un concorso per poter tornare nel reparto dove avevo iniziato, il reparto dove la chirurgia plastica era iniziata in Italia, non ebbi dubbi. Volevo tornare a lavorare a Milano, continuare con una tradizione che mi sentivo addosso. Era il 1997 e vinsi il concorso per dirigente medico dell’UO Complessa di Chirurgia Plastica Ricostruttiva degli allora Istituti Clinici di Perfezionamento. Primario era ancora Armando Carù. Le specialità le stesse di un tempo: le malformazioni congenite, soprattutto labbro leporino e genitali. Si affacciava la chirurgia della mammella che Franco Campagna sosteneva fortemente.

Passaggio chiave in tal senso fu il passaggio di consegne da Carù a Silvano Poma, chirurgo generale e  chirurgo plastico che si era da sempre occupato di chirurgia oncologica della mammella. Nel corso di qualche anno alle specialità che ci erano proprie si aggiunse la chirurgia oncoplastica della mammella.
I numeri crebbero talmente da rendere tale patologia preponderante rispetto agli altri interventi. Iniziammo anche un ambulatorio per le pazienti portatrici di protesi mammarie.

Confesso che all’inizio ero scettico e mal accettavo di mischiare la chirurgia plastica e quella generale, mi sembrava innaturale:  il chirurgo plastico che fa le mastectomie, le dissezioni del cavo ascellare, le quadrantectomie? Nel corso dei mesi iniziai però a capire che così non era, era un valore aggiunto, si trattava di una svolta epocale nel trattamento del cancro della mammella. Era il passaggio dalla chirurgia demolitiva e ricostruttiva come due momenti diversi al concetto dell’oncoplastica che oggi è unanimemente accettato: essere massimamente radicali ma con un occhio contestuale alla ricostruzione.

Nel contempo ho continuato ad occuparmi dei settori che ancora in chirurgia ricostruttiva mi appassionano: la chirurgia dei genitali, le malformazioni congenite e la chirurgia del distretto orbitario.
Nel 2008 fummo  annessi alla grande chirurgia generale diretta dal prof Roviaro che ci ha permesso non solo di mantenere la nostra attività ma addirittura di incrementarla, incentivando anche l’attività di ricerca che un po’ languiva.
Sono stato coinvolto in progetti sulle malattie rare come la neurofibromatosi e sindrome di Poland, in progetti di studio sui melanomi ed i tumori cutanei.

E iniziò anche l’utilizzo estensivo del tessuto adiposo per la rigenerazione dei tessuti. Il prof Gino Rigotti di Verona aveva da poco pubblicato un lavoro superlativo sulla sicurezza e l’efficacia del lipofilling nella mammella radioterapizzata e ci mettemmo sulla sua scia.
Da lì i progetti sulle staminali coltivate da tessuto adiposo, lavoro impegnativo ma gratificazione enorme.

La ricerca mi è sempre un po’ mancata, perché sono sempre stato un uomo da prima linea, fatto per la sala operatoria e se lavori h 24 sui pazienti , hai meno tempo per la ricerca.

Mi viene in mente  uno dei miei primario quando andai a chiedere di essere messo  un po’ meno in sala operatoria per poter fare un po’ di ricerca “Brambilla, tu sei uno nato per la sala operatoria, sarebbe un po’ come togliere l’operaio dalla fonderia”. È vero così mi sento anche ora. Amo operare, mi piace e non mi stanca ma l’attività speculativa e di ricerca mi emoziona. Lavorare con le staminali mi fa sentire un po’ come sulla Discovery di Star Trek. È un altro aspetto bellissimo della mia professione .

Un’altra grande fortuna fu la sede della nostra chirurgia plastica. Si trova tuttora collocata alla Clinica Mangiagalli, il blocco dell Ospedale dedicato storicamente l’ostetricia e  ginecologia. La Mangiagalli È uno dei poli più importanti in Europa per numero di nascite, procedure chirurgiche ginecologiche E patologie dedicate alla genitale femminile. È stato quindi naturale iniziare a collaborare con loro oltre vent’anni fa dedicandomi alla ricostruzione della vulva  Alle patologie malformative, E al lichen scleroso che negli anni è diventato mio cavallo di battaglia. Ricordo ancora il primo caso. Di questa patologia sapevo molto poco E per dirla tutta,  tutti ne sapevano poco. Andai in anatomia  patologica  dal responsabile, il Dr Carinelli, vidi un vetrino E mi venne spiegato che le modificazioni che vedevo assomigliano molto a quelle degli esiti di radioterapia. Mi venne all’ora l’idea di utilizzare il tessuto adiposo esattamente come lo utilizzavamo negli esiti di radioterapia nella mammella. Iniziai  quindi a iniettare tessuto adiposo nella vulva ; siamo stati precursori di questa metodica nel mondo. Un grande aiuto mi venne  fornito dal gruppo del professor Girolamo Sirchia, per anni anima del nostro ospedale poi assurto  a  Ministro della Sanità per una legislatura. Il professor Sirchia responsabile era Del centro nazionale trapianti, ha creduto intensamente nella rigenerazione dei tessuti E mi ha dato un supporto non indifferente. La dottoressa Lorenza Lazzari,  biologa a capo della Cell Factory, È stata per anni ,ed è tuttora ,la mente con cui dialogare, fare brainstorming e mettere a punto Metodiche sempre più innovative ed efficaci.

Oggi la rigenerazione è utilizzata un po’ ovunque per il trattamento del lichen scleroso. È grande orgoglio vedere il mio protocollo utilizzato in giro per il mondo.Negli anni non ci siamo mai fermati, abbiamo utilizzato Metodologie diverse spingendoci a  miscelare rigenerazione ed ampliamento delle gravi stenosi, Utilizzando i derivati del sangue, collaborando sempre di più con ginecologi, gli anatomopatologi, neurologi, le riabilitatrici  del pavimento pelvico. Da tutti ho imparato qualcosa. Da tutti con curiosità ho cercato di apprendere il più possibile per miscelare le competenze di ciascuno. Sono nati negli anni gli ambulatori multidisciplinari per il  lichen scleroso femminile E quello maschile collaborando con i  dermatologi di via Pace, una istituzione storica mondiale nel campo.  Grazie alla collaborazione con il dottor Cusini appassionato dermatologo responsabile della servizio per le malattie sessualmente trasmissibili E la dottoressa Muratori responsabile del servizio di Immunodermatologia abbiamo avuto modo di confrontarci e trattare casi spesso di gravità severa.È un vanto essere riuscito a far dialogare specialità che si parlavano poco e che  ora utilizzano un Esperanto. Abbiamo fatto importanti pubblicazioni che hanno rivoluzionato il modo di approcciare questa malattia dando a donne e  uomini una vita migliore.

Poi grazie alla collaborazione con il professor Fedele,  direttore della clinica E Grande chirurgo ginecologo,per il quale continuo ad avere stima ed affetto, mi sono potuto accostare alle malformazioni genitali femminili più gravi potendo partecipare a procedure di grande complessità dai risultati un tempo insperati. Con la dottoressa Paola Colombo, responsabile della oncologia ginecologica abbiamo operato per oltre vent’anni i cancri della vulva insieme, tasformando un intervento da puramente demolitivo a demolitivo ricostruttivo introducendo i criteri della chirurgia con oncoplastica genitale.

Un unico cruccio rimasto:  non essere riuscito a mettere in piedi un servizio realmente funzionale per le patologie della transessualità. L ho fatto per un periodo ma il cambiamento di sesso necessità di un ambiente dedicato con figure dedicate E purtroppo non ho mai trovato un terreno sufficientemente favorevole per poter portare avanti questo tipo di chirurgia, non per incapacità chirurgica ma per difficoltà logistica.

Per 10 anni mi sono recato periodicamente in Africa. Per 5 anni sono andato nel nord del Benin, per 5 sono andato nel sud del Togo. Gli ospedali–missione sono stati fondati dai Fatebenefratelli. Lì ho avuto modo di conoscere una delle persone più incredibili sulla faccia del pianeta: Fra Fiorenzo Priuli, un uomo venerato come un santo vivente, stimato a tal punto da ricevere la Légion d’honneur, massima onorificenza francese. Priuli si iscrisse alla facoltà di medicina quando aveva oramai alle spalle 20 anni di sala operatoria e migliaia  di interventi di chirurgia maggiore. Che soggetto… a lui devo la tenacia che ti fa andare avanti per ore in sala operatoria senza sentire la stanchezza. Lui la chiama missione e dà connotati impregnati di misticismo, io la chiamo missione e ne do un valore più laico ed umanitario. Ma diciamo e pensiamo la stessa cosa. Per anni in Africa mi sono occupato di chirurgia plastica pediatrica E soprattutto bella labbro leporino avuto modo di venire a contatto con le patologie più strane che impegna ti che si possono immaginare. Quando lavori in Africa devi imparare a fare molto di più di quello che la tua specialità ti richiede. E tra un bambino  e l’altro ho dovuto imparare a  fare i cesari , amputare, lavorare nell’addome, sistemare le frattura e, rimettere mano ai gravi traumi che qui vengono trattati da un’equipe multidisciplinare ma che li non c’è. Una grande esperienza professionale umana che mi ha dato tanto.

Ho sempre amato l’attività congressuale perché momento chiave di condivisione con i colleghi. Da sempre frequento congressi internazionali E ho assunto ruoli via via più  importanti diventando nel tempo relatore, direttore scientifico, direttore organizzativo e responsabile di corsi. L’attività didattica mi è sempre piaciuta. Non l’ho mai ritenuta primaria nella mia attività ma  ho sempre pensato che insegnare gli altri fosse una cosa buona e utile. Per questo tengo periodicamente corsi a quei colleghi che intendono approfondire discipline per le quali mi sono distinto e appassionato negli anni.  Nonostante non abbia fatto della ricerca e dell’insegnamento il punto principale della mia carriera ho scritto moltissimi lavori scientifici di valore internazionale E sono coautore  di sei libri di chirurgia plastica di valore internazionale. Sono nel Board scientifico di numerose società scientifiche internazionali.In Sicpre, la Società italiana di chirurgia plastica, rivesto il ruolo di responsabile nel capitolo dedicato alla genitale E sono coinvolto nei gruppi di studio per la stesura delle line guida della chirurgia rigenerativa E per le mutilazioni genitali.

I tempi cambiano, le necessità e i  desideri pure. Dopo 25 anni di  servizio in ospedale ho deciso di dare una svolta alla mia attività lavorativa lasciando “ la casa “ del Policlinico per dedicarmi all’attività libero professionale a Milano, Ginevra e Barcellona. È stata una decisione sofferta. Maturata nel corso degli anni. Ma sono arrivato a capire che quello che facevo per quanto ben fosse fatto, efficace e  strutturato, aveva bisogno  di  quell’energia che solo un cambiamento radicale può dare. Il mio cuore continua a battere per l’Ospedale, I miei terrazzi danno sul mio Ospedale, il parco dove porto a correre i miei cani è davanti all’Ospedale e così pure la scuola dei miei figli. È un rapporto d’amore che non tramonterà mai. Ho lasciato a  validi colleghi le basi della mia professione e con loro sono tuttora in contatto sia per i casi più complessi che per le attività scientifiche.

Chirurgia ricostruttiva  e chirurgia estetica, un altro capitolo della mia professione.

La mia specialità ha molteplici aspetti. Oltre a quello ricostruttivo c’è quello estetico. Non solo non trovo che siano conflittuali anzi… alla chirurgia estetica arrivi progressivamente: prima passi dalla chirurgia generale poi alla plastica ricostruttiva, poi arrivi alla chirurgia estetica. Ma sono passi che devono essere progressivi. Per carità, ci sono molti chirurghi che tagliano il percorso per arrivare direttamente alla chirurgia estetica. Si tratta quasi sempre però di una scelta motivata non da interesse ma da ragioni economiche. Ho conosciuto medici che si dilettavo di chirurgia estetica che facevano gli epatologi e gli anatomo patologi, i chirurghi ortopedici ed i ginecologi. Ma che c’entrano fegato, cadaveri, ginocchia e papera con la chirurgia estetica? Mah… Quello che penso è che una specializzazione in mano non è detto che certifichi che sai lavorare ma almeno ti dovrebbe qualificare per un lavoro che specificamente hai imparato in 5 anni di training ministeriale.
Conosco anche chirurghi che fanno chirurgia estetica in modo onesto e non hanno la specialità e sono quei pochi che lo hanno scelto per passione e non per ripiego di guadagno.
Quello che ripeto sempre ai miei studenti, è che la differenza tra un professionista ed un improvvisato non sta nella qualità del lavoro di base che può essere simile ma nella chirurgia estetica fine ed avanzata e soprattutto nella gestione delle complicanze.

Lo stesso vale per la medicina estetica. Purtopo la maggior parte di coloro che si avvicinano oggi alla medicina estetica lo fa per motivi economici e non per libera scelta professionale motivata dal piacere di fare qualcosa che realmente piace. Quando tengo corsi ai medici estetici in formazione mi ritrovo spesso figure professionali un po’ annacquate che non parlano mai di pazienti ma di clienti. E io mi arrabbio e inveisco. Siete medici e dovete trattare chiunque venga da voi da paziente e non da mero fruitore di un servizio. La medicina non deve vendere un servizio ma offrire il meglio che si possa secondo il concetto del “pater familas” che fa del suo meglio per il bene della comunità.
Da quando ho inziato la specialità mi occupo di complicanze da filler, problematica molto viva, di cui oggi si parla spesso ma che per anni mi ha visto come uno dei pochi paladini della materia (spesso coperto di insulti dalle dite produttrici e dai colleghi che iniettavano senza scrupoli silicone liquido e metacrilati).
La serietà e la professionalità pagano sempre.

Dal 1998 sono anche perito del tribunale di Milano dove vengo chiamato sia per dare pareri in cause civili che penali. Cerco di fare il mio lavoro in modo obiettivo e massiamanet professionale, motivamdo le mie valutazione nel modo più scientifico possibile. Giudicare l’operato di altri colleghi non è mai cosa piacevole ma ho sempre pensato che fosse meglio che un danno di chirurgia plastica potesse essere giudicato da un chirurgo plastico piuttosto che da un ortopedico.

Ma la vita non è solo lavoro.

La chirurgia è buona parte della vita ma c’è anche altro.
Un ruolo fondamentale ce l’ha la famiglia (e io ne ho una splendida, una moglie, due ragazzi meravigliosi e due cani), un ruolo importantissimo le amicizie, un ruolo altrettanto importante le passioni.

Tra le amicizie ne vanto molte tra i miei colleghi ma è soprattutto nel mondo dell’arte che ho trovato un sentire comune. Amo l’arte, soprattutto arte moderna e quella contemporanea e astratta. Mi piace la pennellata energica, decisa, non leziosa che emana energia. Tra i miei favoriti i futuristi alla Balla, i russi geniali come Kandinsky, Rothko e Malevich. Rimango impietrito davanti alla potenza di Bacon. Nel contemporaneo mi piace la concettualità di Kiefer, le istallazioni di Hirst e le provocazioni di Cattelan. Adoro, e non solo per stretta amicizia, le opere di Nino Mustica di cui per altro mi circondo, la sua geniale astrazione, la sua vicinanza per potenza a quel futurismo che ancora mi affascina. Non mi fa impazzire l’arte contemporanea cinese sebbene debba riconoscere la grandezza di alcuni di loro.
Trovo buffe le perfomance di Orlan, grandiose le istallazioni di Greenaway (che è anche il mio regista preferito). Mi piace la fotografia, soprattutto gli scatti di guerra alla Capa e la perfezione tecnica di Mapplethorpe.

Mi piace molto la scultura ed il mio occhio privilegia la perfezione del periodo classico e la perfezione di forma. Ne è appagata più la parte razionale che è non quella emotiva. Trovo la perfezione di forma opera di altissimo artigianato ma talvolta priva di quella componente emotiva che mi possono dare delle pennellate disordinate o una forma magmatica. Con questo non voglio dire che il David di Donatello o le opere del Canova non trasmettano emozioni, anzi… è come guardare una donna perfetta ma algida. Forse per questo che mi piacciono tanto le opere di Vitale, sculture classiche tatuate che trascendono la perfezione di forma.

Amo la natura e gli sport di montagna. Sono cresciuto sugli sci e da  quando la tavola comparsa Sulla faccia della terra faccio solo snowboard. Trovo che permetta di esprimere in modo più libero e fluido il movimento e che dia più spazio alla fantasia del corpo. Tutto l’anno volo. Faccio parapendio. Volare è bellissimo e liberatorio. Quando trovi una termica (aria calda) e voli in una bolla ascensionale seguendo un’aquila, allora è l’apogeo. Amo ancora il Longboard, così vicino allo snowboard.
So di fare un lavoro complesso, spesso stressante, che mette a dura prova le coronarie. La contemplazione dell’arte e l’attivismo dello sport (estremo ma non troppo) riequilibrano lo spirito.

Amo la musica. Mi sveglio e ascolto la radio, corro e ascolto musica, vado in macchina ascolto musica, opero e ho necessità di una nota. Amo il jazz, soprattutto il free jazz anni 70. Dizzy Gillespie e Miles Davis le mie trombe favorite, in Italia Boltro e Bosso sono grandi. Rava è il migliore ma trovo talvolta debordi nell’eccessiva introspezione che finisce poi per stancarmi. Ascolto volentieri i virtuosismi di Michel Camilo e vedrei mille volte lo stesso video di Petrucciani che mi ricorda un concerto incredibile. Ho fatto 4 anni di civica scuola di musica, chitarra classica.  Mi piace  soprattutto il novecento di  Stravinsky ma amo ascoltare la genialità unica di Bach e la forza dell’Opera verdiana.
Mi piace anche il rock, l’energia dei Red Hot Chili Peppers e i Franz Ferdinand, mi piace il rap ma solo se impegnato o impregnato di citazioni jazz. Tupac, la west coast , j Ax, Caparezza  sono della mia generazione. Faccio fatica a capire il turpiloquio fine a se stesso dei rapper e trapper senza storia e consistenza.

Amo i cani, ho avuto un meraviglioso alano blu per 9 anni.  Si chiamava Ramos, un  supercampione di bellezza, 80 kg di amore canino. Ora ho  Muttley, un “cazzutissimo” fox terrier, padre campione di caccia e mamma di bellezza…..ma è tutto il papà….gestione non semplice ma cane di grandissimo carattere e intelligenza  e Zorothea una bellissima , affettuosissima, obbedientissima femmina dalmata.

Amo viaggiare. Fin da piccolo la mia famiglia girovagava  per lavoro e per piacere.Le vacanze erano in tenda per l’europa e l’asia minore e l’africa occidentale. Sono cresciuto con il piacere di viaggiare come avventura, dell’incontrare gente nuova ed immergermi in nuove culture. Ho avuto un primo grande amore per il sud america, ricordo come fosse ieri il primo meraviglioso viaggio durato due mesi dal Cile all’Ecuador, l’attraversata a piedi del Costa Rica con un gruppetto inglese di trekker estremi, la Darién Gap, il Centro America visitato più volte. Poi mi sono innamorato dell’oriente. Ho avuto la fortuna di viaggiare in un Pakistan ancora tranquillo e raggiungere Kabul in tempi duri ma non durissimi. Poi la Cambogia nazione vergine o per essere sinceri a cui la verginità era stata restituita a forza. Ci misi piede dopo che Pol Pot era fuggito da 10 giorni. Ci tornai altre due volte ma non era più lo stesso e viaggiare aveva perso quell’emozione vissuta qualche anno prima. Poi Vietnam, Indonesia dall’ovest all’estremo est, le Filippine del sud, la Thailandia di amici che ci hanno salutato investiti da quella spaventosa onda anomala. Della Cina ho visitato solo due province e non l’ho ancora capita; in Africa ci vado anche per lavoro un mese all’anno che fascino pazzesco, l’unico continente in cui viaggiare sia ancora avventura vera…
Negli States ci ho passato tanto tempo. Grande paese ma difficile vivere nella provincia. In Israele ci ho vissuto. Erano tempi tranquilli, e  nessuno si faceva esplodere…

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